Il Mandarino Tardivo di Ciaculli – Presidio Slow Food
Il Mandarino Tardivo di Ciaculli – Presidio Slow Food
Grazie ad un manipolo di agricoltori ed a Giovanni d’Agati il mandarino tardivo di Ciaculli, Presidio Slow Food, è divenuto simbolo e strumento di lotta contro la cementificazione selvaggia di ciò che resta della Conca d’Oro a Palermo.
TESTO E VIDEO DI TOMMASO RAGONESE
FOTO DI MARCO CRUPI
Giovanni d’Agati, presidente del Consorzio Il Tardivo di Ciaculli.
Un commercialista mi disse che dietro un’attività di successo ci sono generalmente due figure, il cui operato ricorda quello di certi artisti di strada. Da un lato, ci sono i maghi che incantano il pubblico con i loro numeri, e, dall’altro, c’è l’aiutante che tende il cappello per raccogliere le offerte in denaro tra gli spettatori. Nel caso del mandarino tardivo di Ciaculli sono gli agricoltori a far sì che la magia di profumo e sapore di questo frutto storico ricorra ogni anno ed è Giovanni d’Agati ad assicurarsi che il cappello non rimanga mai vuoto.
Giovanni d’Agati alle operazioni di scarico dei mandarini presso il Consorzio il Tardivo di Ciaculli.
“Maestru fozza c’ha trasiri l’autru camion! (si sbrighi, maestro, deve entrare l’altro camion!)”. Auricolare all’orecchio, tra una telefonata e l’altra, Giovanni si sbraccia per dirigere le operazioni di scarico dei mandarini al magazzino del Consorzio Il Tardivo di Ciaculli di cui è Presidente. Monta sul muletto e trasporta personalmente le pedane con le casse fino all’inizio dell’impianto di impacchettamento. Lo perdo di vista per un momento e lo ritrovo alla selezione manuale, tra due operai, intento ad eliminare la frutta imperfetta insieme a loro.
Ciaculli è una borgata di Palermo alle pendici delle rocce calcaree del Monte Grifone. ‘Ciachi’ o ‘ciaca’ era per l’appunto il nome dato ai pezzi di roccia che precipitavano dal Monte e con cui furono non soltanto pavimentate le strade ma anche costruiti i terrazzamenti per ospitare i tradizionali agrumeti. Nacque qui, intorno agli anni ‘40, per una mutazione gemmaria spontanea della pianta di mandarino avana, il mandarino tardivo, anche conosciuto come marzuddu o marzolino.
Fu per l’appunto la sua maturazione tardiva a portare il mandarino di Ciaculli alla ribalta: era l’unico ad essere disponibile sul mercato fino a Marzo inoltrato. La raccolta dava lavoro a centinaia di braccia e possedere un terreno costituiva una fonte di reddito pressoché inestinguibile. C’era persino chi organizzava la raccolta dei mandarini da terra: inadatti alla commercializzazione sul mercato della frutta fresca, venivano venduti alle industrie di trasformazione per produrre succhi ed essenze.
Tra questi cosiddetti ‘scattatari‘ c’era anche un giovanissimo Giovanni d’Agati. “Avevo suppergiù cinque anni e mio nonno, che possedeva un agrumeto, mi prometteva una paghetta se avessi raccolto i mandarini da terra. Sono sempre legato a questo ricordo d’infanzia. Chi poteva immaginare che il mandarino sarebbe diventato la mia vita?”.
Neanche a farlo apposta, fu durante la raccolta dei mandarini, nella vicina Croceverde Giardina, che Giovanni si innamorò di colei che sarebbe divenuta sua moglie. Al tempo, per velocizzare la raccolta, il mandarino veniva staccato dalla pianta insieme al rametto da cui pendeva. Dal momento che la merce andava consegnata ai commercianti defogliata, erano spesso le donne di ogni famiglia ad occuparsi di pulire i mandarini privandoli di rami e foglie con una forbicina.
“Mia madre era nativa della zona di Croceverde, per cui andavamo spesso a salutare i parenti” racconta Giovanni. “Vidi per la prima volta la mia futura moglie all’età di tredici anni, in un magazzino di campagna, intenta a ‘spiricuddari i mannarina’ ad una velocità impressionante: avreste dovuto vederla, riusciva a fare sette cassoni di legno l’ora!”. Il magazzino sorgeva sul terreno di proprietà del suocero di Giovanni, oltre i muretti sormontati da montaliani cocci aguzzi di bottiglia, che tuttora fiancheggiano via Conte Federico.
Gino
Gino
Di questo terreno, da sempre, se ne occupa Gino. “Sarà un trenta tùmmini” dice con una voce che tradisce la stanchezza, facendo riferimento ad un’antica unità di misura corrispondente a poco più di 1500mq. “Nta sti ultimi iorna ittai sali (in questi ultimi giorni ho concimato) e c’era vento assai. Mi doli un pocu a testa”. Mani grandi da contadino, occhi stretti incorniciati in un ventaglio immobile di rughe, espressione a metà tra la contemplazione e l’indifferenza: Gino si gode una sigaretta appoggiato all’Ape Piaggio che ogni agricoltore ciacuddaru che si rispetti possiede.
“Quando mio suocero, per ragioni di salute, non potè più occuparsi di questa campagna”, ricorda Giovanni, “io e mia moglie ci trovammo ad un bivio: dovevamo decidere se abbandonare o meno l’agrumeto. Non ce la sentimmo di lasciare che si perdesse. Fu quello il momento in cui, per la prima volta, vendere i mandarini di Ciaculli della campagna di mio suocero divenne parte del mio lavoro”.
“A quel tempo lavoravo nella ristorazione e tra i nostri clienti c’erano alcuni commercianti napoletani che erano soliti acquistare primizie siciliane tra cui il mandarino tardivo ed il melone d’inverno. Riuscii a vendere la prima produzione ad uno di loro”. Nel frattempo, nel 1996, grazie ad un progetto Life cofinanziato da Unione Europea, Comune di Palermo e Confederazione Italiana Agricoltori, vedeva la luce il Parco Agricolo Periurbano a Ciaculli.
Con l’istituzione del Parco iniziarono una serie di azioni di riqualificazione ambientale e paesaggistica, insieme alla creazione di percorsi di fruizione lungo la zona terrazzata ed il ripristino di mandarineti abbandonati. Il Comune abbattè del 75% il costo dell’acqua per l’irrigazione e, nel 1999, nacque anche il Consorzio Il Tardivo di Ciaculli.
Non molto dopo, tra le nebbie ideologico-burocratiche sollevatesi al momento del cambio di testimone tra due giunte comunali di schieramenti politici opposti, il progetto si arenò. L’interesse dei produttori che erano confluiti nel Consorzio per ricevere i contributi destinati al parco periurbano cominciò a scemare.
Le operazioni di posizionamento dei mandarini all’interno delle cassette di cartone. Un operaio mostra il metodo tradizionale di incartamento della frutta usando un limone al posto della spugnetta per separare i fogli di carta.
“Tra quei pochi rimasti a credere nel progetto del mandarino di Ciaculli nni taliammu in faccia e dissimo ‘Ma c’amu affari?’ In breve tempo ci rendemmo conto che potevamo contare soltanto sulla nostra abilità di commercializzare il prodotto per sopravvivere” racconta Giovanni, che nel frattempo veniva nominato Presidente del Consorzio.
“Non avevo alcuna esperienza, mi ricordai di quel commerciante napoletano che mi consentì di vendere il prodotto dei terreni di mio suocero. Lo chiamai e gli chiesi se fosse disponibile ad assorbire una maggiore quantità di mandarini con delle garanzie di qualità che gli era probabilmente difficile trovare in giro. Al tempo infatti, c’era poca serietà nell’agrumicoltura in termini di attenzione alla soddisfazione del cliente, l’importanza della quale io, lavorando nella ristorazione, avevo invece ben chiara”.
“Accettò. Iniziò così la nostra esperienza consortile. Avevamo mille casse vuote in un magazzino sperduto in campagna, con un pavimento in pendenza che rischiava puntualmente di far partire la carrettella per trasportare le casse per i fatti propri; faceva un freddo boia di notte e l’illuminazione consisteva in una lampada soltanto. L’interesse per il prodotto, però, c’era. Chiamai a Parma, a Genova a Napoli. Conquistammo poco a poco 60 mercati nazionali”.
Il sogno di Giovanni, tuttavia, era quello di aprire al Consorzio le porte della grande distribuzione. “Cominciai a chiamare Esselunga. Chiamai decine di volte senza riuscire nemmeno a parlare con l’ufficio acquisti. Finché un giorno, forse stufo della mia insistenza, il responsabile si decise a sollevare la cornetta”.
“Rimasimo al telefono quasi venti minuti: riuscii a convincerlo ad acquistare un bancale”. Oggi il Consorzio Il Tardivo di Ciaculli fornisce Esselunga, Coop, alcune piattaforme di Conad, Eataly, Eurospin, Coop Suisse, la Metro. Il fatturato ha raggiunto i 6 milioni di euro, anche grazie al fatto che il magazzino lavora altri prodotti come limoni, meloni e nespole.
Etichettatura per la grande distribuzione.
“La nostra missione era semplice: fare qualità rispettando i tempi della natura. A questo si aggiungeva la grande passione per quello che facevamo”. Questa filosofia ha avvicinato il Consorzio e la Fondazione Slow Food, la quale ha conferito al mandarino il riconoscimento di Presidio. “Dobbiamo trovare ogni modo possibile di valorizzare quello che la natura ci da qui in Sicilia, altrimenti rischiamo che non ci sia più un albero di mandarino a Ciaculli. Qui nelle campagne ci sono sempre meno giovani”.
Chi invece c’è sempre stato (e non ha intenzione di andarsene), nelle campagne, è Gino. 28 anni di duro lavoro. Quando gli chiedo se è proprio così a lungo che la sua vita ha seguito i ritmi dei mandarineti mi risponde annuendo lentamente e schioccando la lingua. Un modo al contempo umile e solenne di riassumere un vissuto. Dietro di lui, gli ultimi mandarini di quest’anno penzolano dagli alberi.
“Ormai qua a campagna è finita, poi am’a putari e si comincia a mbeverari (ormai qui la raccolta è finita, dobbiamo potare e cominciare a dare l’acqua)”. La pianta di mandarino cresce in regime irriguo. Gino ci mostra quella che lui chiama ‘a prisa’, uno dei canali simili alle saje di concezione araba, nelle quali veniva incanalata l’acqua raccolta nelle gebbie (dall’arabo djeb: cisterna) poi deviata attraverso un sistema di condotte scavate a mano nella terra.
Osserviamo Gino mentre, armato di secchi di plastica, raccoglie i mandarini secondo il metodo tradizionale. La frutta, molto sensibile alle manipolazioni, viene separata dal ramo ed il peduncolo rimosso con le forbici per evitare che possa danneggiare gli altri mandarini riposti nel contenitore. Aprendo un frutto appena raccolto si nota subito la buccia sottile e soprattutto il profumo intenso delle essenze in essa contenute.
In piena maturazione, il mandarino di Ciaculli, oltre che profumatissimo, è dolcissimo. Ma la caratteristica che rende il mandarino inconfondibile sono i semi. Una caratteristica che ne fa un frutto fertile, un frutto in grado di dare a sua volta la vita, un frutto ancestrale. Il mandarino è infatti uno dei tre agrumi originali insieme al cedro ed al pomelo. Nulla a che vedere con i tanti cloni di clementine disponibili sul mercato.
Addentando la polpa succosa di un mandarino sul retro dell’Ape guidata da Gino, torniamo verso l’ingresso dell’appezzamento. Guardandosi intorno da qui è impossibile non pensare a tutti gli occhi dei viaggiatori del passato che si posarono e furono incantati dalla vista della Conca d’Oro: “dove fioriscono i limoni e brillano tra le foglie cupe le arance d’oro” (Goethe, Wilhelm Meister).
Da quando lo storico greco Callia di Siracusa, nel IV secolo a.C., scriveva che il territorio di Panormos si denomina “tutto-giardino” per essere interamente pieno di alberi coltivati, le cose sono molto cambiate. Dagli anni ‘50 del secolo scorso, gli splendidi giardini di cui danno notizia Goethe, Guy de Maupassant, Fernand Braudel, ed altri illustri viaggiatori del passato sono stati inghiottiti dalla speculazione edilizia in quello che oggi è passato alla storia come il “Sacco di Palermo“.
Dai 14.000 ettari di giardini a fronte di 1.000 ettari di centro urbano del passato, la proporzione è, oggi, sostanzialmente invertita. Gli ultimi alberi stanno li, aggrappati ai terrazzamenti eretti ai tempi in cui il valore dei mandarini ci avrebbe incoraggiato a distruggere le case per fare spazio agli agrumeti. Un centinaio di ettari di mandarineti rimangono l’ultimo polmone verde di Palermo, essenziale per dissipare almeno parte del calore infernale generato dall’asfalto e trattenere la montagna dallo scivolare a valle.
I mandarini selezionati e confezionati sono pronti per lasciare il magazzino del Consorzio.
In un’epoca in cui il valore commerciale di un frutto non tiene conto degli aspetti legati alla tutela della biodiversità, della salute del consumatore e, a Ciaculli più che mai, del paesaggio, la sfida del mandarino tardivo di Ciaculli può dirsi solo momentaneamente vinta. Serviranno politiche di gestione territoriale che premino gli sforzi eroici di Giovanni e dei produttori del Consorzio: politiche che, dal naufragio del progetto del Parco Agricolo Periurbano, nessuno si è più assunto la responsabilità di mettere in campo.
Nè lo spirito di Giovanni, nè le mani di Gino saranno eterni. “L’ultimu vestitu i lignu nni tocca a tutti. Un ci n’è ricchi n’è malandrini (L’ultimo vestito di legno tocca a tutti; anche ai ricchi e ai malandrini)”, sentenzia Gino, la sigaretta ormai spenta sulle labbra, mentre ci salutiamo. Come a dire che allo scoccare della nostra ultima ora non conterà quanto influenti saremo diventati, o quanta ricchezza avremo accumulato. Guardandoci indietro, cosa potremo dire di aver lasciato? Per parte mia, sarei felice di vedere un giardino di mandarini dolci e profumati piegarsi alla prima brezza primaverile, sotto i raggi di un sole d’inizio Marzo.