Mappa percorso da Novara di Sicilia al Torrente Paratore

Traccia GPS – Giorno 3: a Novara di Sicilia e poi fino al Torrente Paratore – 20,6 km | Per la mappa interattiva completa clicca qui.

A Novara di Sicilia e poi fino al Torrente Paratore

A Novara di Sicilia e poi fino al Torrente Paratore

GIORNO 3 | 06/06/2017 – Il Giro della Sicilia in Ottanta Giorni

Abbarbicata sul versante settentrionale dei Monti Peloritani, Novara di Sicilia è innanzitutto un borgo di gente straordinariamente ospitale. Qui si produce un antichissimo formaggio, il maiorchino, protagonista dell’annuale gara di ‘ruzzola’, e la famiglia Affannato custodisce l’ultimo mulino ad acqua a ruota orizzontale funzionante in questa parte della Sicilia. Alla sera, percorrendo il crinale dei Peloritani verso Montalbano Elicona, ci perdiamo in una valle e siamo costretti a passare la notte nei pressi di un torrente.

TESTO DI TOMMASO RAGONESE

FOTO DI MARCO CRUPI

Ma cosa diamine…?!”, penso sussultando nel sonno, mentre il grugno di un maiale selvatico, che cerca un varco attraverso le pareti della nostra tenda, mi sfiora la guancia. Quello che ho detto sarà meglio non ripeterlo: l’avrò ripetuto almeno una dozzina di volte ad intervalli regolari nell’arco di un’intera notte, in corrispondenza delle incursioni di questo suino curioso.

Ad ogni intervallo forzato tra sonno e veglia, il terreno su cui abbiamo fatto campo ci sembra più scomodo e le condizioni con cui abbiamo deciso di condividere questo stretto spazio chiuso sempre meno piacevoli all’olfatto. Il budget a nostra disposizione non ci ha infatti consentito il lusso di un alloggio per la notte e di una doccia dopo la giornata di ieri.

Tre ravioli alla ricotta su un vassoio di carta, con una strada acciottolata e edifici storici di Novara di Sicilia sullo sfondo.

Circa un’ora dopo, smontata la tenda e tornati in paese, sotto un cielo coperto e qualche schizzo di pioggia, le sorti della nostra giornata vengono risollevate dall’arrivo di Filippo. “Oggi siamo chiusi, ma ho voluto comunque portarvi la colazione” ci dice, porgendoci un vassoio di ravioli alla ricotta, “Non dev’essere stata una notte facile lassù”. Con lo stomaco pieno dei dolcetti di Filippo ed il cuore pieno di riconoscenza, ci dirigiamo al caseificio di Carmelo Ferrara, padre della moglie di Filippo, Caterina.

È cosa nota che nei piccoli paesi siciliani si venga identificati più da un soprannome, la cosiddetta “nciuria”, che dal proprio nome di battesimo: faremmo bene, se ci fosse qualche novarese tra i nostri lettori, a precisare che il caseificio è quello d‘u Murgaellu. ‘U Murgaellu, per ‘nciuria, o ‘u fundachellotu, per provenienza: Carmelo Ferrara è nato infatti nel vicino territorio di Fondachelli Fantina. Due borghi, Novara e Fondachelli, che si annoverano tra la dozzina di piccoli paesi siciliani dove si parla ancora una lingua gallo-italica di origine lombarda, 900 anni dopo la dominazione normanna.

Carmelo Ferrara e suo figlio Salvatore

Da subito, la parlata di Carmelo tradisce delle pause, dei raddoppiamenti di consonanti, degli strascichi che poco hanno a che vedere con il dialetto di altri paesi, anche vicini. Alla peculiarità del personaggio si aggiunge l’unicità del luogo: si tratta di uno degli ultimi caseifici dove si produce il maiorchino nella maniera tradizionale. Un metodo tramandato a Carmelo da Don Peppino, come ci racconta lui stesso, in un’epoca in cui già il formaggio non si produceva più.

Un formaggio non soltanto inimitabile nel sapore, ma protagonista di una gara di ruzzola unica in tutta la Sicilia: un torneo già praticato nel ‘600, che culmina la domenica di carnevale, quando le squadre finaliste si sfidano facendo rotolare le forme di maiorchino giù per le strade di Novara, con l’ausilio unicamente di lacci di scarpa intrecciati e impeciati. Salvatore, il figlio di Carmelo, è impegnato a rimpinguare il fuoco sotto la quaddara, l’antico pentolone di rame dove si fa la cagliata.

Noi ci accingiamo a documentare il processo di produzione e a registrare una lunga intervista in cui Carmelo ci trasporta indietro nel tempo, tra i protagonisti della millenaria società rurale di cui è erede. Mentre filmiamo, ascoltiamo assorti: ci appare evidente che, attraverso le parole di Carmelo, stiamo già raccogliendo le prime tessere di un mosaico fatto di storie, identità e tradizioni, per ricostruire il quale abbiamo concepito questo nostro giro della Sicilia.

Il Maiorchino non è l’unica traccia viva di quella cultura contadina e pastorale a cui le parole di Carmelo ci riconducono: Novara di Sicilia conserva intatta una straordinaria testimonianza del suo passato rurale. Si tratta di un mulino ad acqua a ruota orizzontale, risalente presumibilmente al ‘400 e perfettamente funzionante, che la famiglia Affannato custodisce con amore: l’unico rimasto dei quattordici presenti in passato lungo il torrente San Giorgio.

Mario Affannato indica un magazzino storico a Novara di Sicilia, con una porta in legno e una data incisa nella pietra.

Il mulino Giorginaro è il quinto dei quattordici, per essere esatti”, mi dice Mario Affannato, mentre ci invita a scendere giù per un vialetto che conduce al terrazzamento, dove ha sede la vasca di raccolta dell’acqua. C’è dietro un orticello, vi intravediamo il padre di Mario intento a controllare che tutto sia in ordine; “Ha ottant’anni, ma è impossibile per un uomo di quella generazione stare senza fare nulla”. 1690: la data scolpita nella pietra sopra la porta di un locale, che fungeva presumibilmente da magazzino, ne attesta la costruzione in epoca più recente rispetto all’edificio situato sul terrazzamento inferiore, dove trovano posto le macine. Pare che il mulino fosse già attivo nel 1400.

Interno di un mulino storico a Novara di Sicilia, con strumenti agricoli tradizionali e una grande ruota in legno.

Aprendo la porta del locale dove avviene la molitura, Mario ci mostra le foto di papà, nonno e bisnonno, tutti scalpellini-mugnai.

È impossibile sopravvalutare l’importanza che il grano ha rivestito per le comunità di queste zone: basti pensare, che lo stesso nome del Maiorchino proviene molto probabilmente da una varietà di grano tenero, la maiorca appunto, uno dei frumenti più coltivati per il consumo familiare.

Tramoggia di un mulino a Novara di Sicilia, decorata con immagini di santi portate dai visitatori.
Chicchi di grano maiorca nella tramoggia di un mulino a Novara di Sicilia, pronto per la molitura.

Mario ci illustra le parti meccaniche che azionano l’asse della macina e quelle che permettono la regolazione della granulometria della farina. Poi, mi invita a prendere un sacco di grano: si tratta proprio di maiorca, che i contadini sono tornati a piantare negli ultimi anni, riportando alla ribalta i cosiddetti grani antichi. Svuoto il sacco nella tramoggia, tappezzata di immagini dei santi portate da chi veniva qui con il proprio grano, al fine di propiziare la buona riuscita della molitura.

Ruota lignea di un antico mulino ad acqua situato in una grotta a Novara di Sicilia, circondata da muschio e pietre.

Infine, apro il bocchettone dell’acqua, che precipita dalla vasca di contenimento giù per 10 metri, schizzando fuori da un ugello spesso 6 cm, azionando la ruota lignea del mulino. La battaella, un ingegnoso arnese per trasmettere le vibrazioni della macina alla bocca di uscita della tramoggia, favorendo la fuoriuscita dei chicchi di grano, saltella allegra. La farina fuoriesce di un bel colore scuro, ad una temperatura bassissima, visto il basso numero di rivoluzioni della macina. È un museo funzionante, questo mulino.

Ancora increduli per ciò che ci ha riservato finora questa giornata, ci congediamo da Mario con la promessa di tornare a trovarlo non appena ci sarà possibile.

Risaliamo al caseificio Ferrara, dove ci aspettano per pranzare. Una forma di ricotta calda troneggia sulla tavola, accanto a pane, olive e salame casereccio: il nostro viaggio nella macchina del tempo attraverso la civiltà contadina peloritana non è ancora terminato.

Cerchiamo di carpire quante più informazioni possibili riguardo al percorso che intendiamo seguire, per raggiungere Montalbano attraverso le montagne: non è una strada segnata sulle cartine, saremo costretti a procedere un po’ alla cieca, usando le immagini da satellite come unico riferimento. Alla partenza, con una generosità tutta novarese che difficilmente dimenticheremo, i Ferrara ci regalano ricotta infornata, pane e salame, che più tardi si riveleranno quanto mai provvidenziali.

Vista panoramica del borgo di Novara di Sicilia, con le sue case in pietra e una chiesa centrale circondata da colline.

Vista panoramica del borgo di Novara di Sicilia.

Vista delle Isole Eolie all'orizzonte dai Monti Peloritani, con colline ondulate in primo piano.

Vista delle Isole Eolie all’orizzonte dai Monti Peloritani.

All’uscita da Novara il morale è alto, anche con 12 km di salita davanti e la pioggerella che ci accompagna fino a Portella Mandrazzi (1.125 m). Scollinando, identifichiamo la strada per il parco eolico, così ripida da costringerci a scendere dalle bici e a proseguire a spinta. Giunti in cima, veniamo ricompensati da un panorama mozzafiato: il mar Tirreno a destra, lo Ionio sulla sinistra e turbine eoliche a perdita d’occhio lungo il crinale dei monti Peloritani. Mentre contempliamo questi moderni mulini a vento, mi sento trasportato nel Don Chisciotte di Cervantes.

La fortuna va guidando le cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie; perciocchè questa è guerra onorata, ed è un servire Iddio il togliere dalla faccia della terra sì trista semente”.

Dove sono i giganti?” disse Sancio Panza.

Quelli che vedi laggiù”, rispose il padrone “con quelle braccia sì lunghe, che taluno d’essi le ha come di due leghe“.

Guardi bene la signoria vostra”, soggiunse Sancio, “che quelli che colà si discuoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino”.

Ben si conosce”, disse don Chisciotte, “che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disuguale tenzone”. Detto questo, diede de’ sproni a Ronzinante, senza badare al suo scudiere, il quale continuava ad avvertirlo ch’erano fuor d’ogni dubbio mulini da vento e non giganti quelli che andava ad assaltare.

Ciclista che percorre una strada sterrata tra i Monti Peloritani, circondato da colline verdi e pale eoliche.
Biciclette parcheggiate vicino a un recinto con pale eoliche sullo sfondo dei Monti Peloritani.

Ci lanciamo giù per la strada sterrata, ed è una soddisfazione immensa, quella di essere arrivati fin quassù solo con le nostre gambe. Durante una sosta per controllare mappe e navigatore, prendo una decisione di cui a breve mi pentirò, ovvero quella di seguire il navigatore giù per una trazzera sterrata, che pare, dalle immagini del satellite, incrociare la SS115 Tripiciana. Dopo vari chilometri di discesa e vari passaggi attraverso cancelli, costruiti dai pastori con pezzi di legno, filo spinato, vecchie reti di materassi e chi più ne ha più ne metta, siamo sempre più nervosi, perché la strada peggiora, si restringe, la luce comincia a scarseggiare.

Dopo un’ultima curva, la strada incrocia il letto di un torrente: impossibile proseguire. Il greto è completamente dissestato, probabilmente per la piena invernale, e non v’è traccia di strada percorribile dall’altro lato del torrente. Il telefono non riceve alcun segnale. Riusciamo appena a comunicare le nostre coordinate e, che faremo campo qui stanotte, a chi ci attendeva stasera a Montalbano.

Tenda da campeggio montata in un letto di torrente sui Monti Peloritani, circondata da vegetazione selvaggia.
Due ciclisti accanto alla tenda montata in un letto di torrente sui Monti Peloritani, con biciclette parcheggiate sullo sfondo.

Siamo stanchi morti e, nostro malgrado, non abbiamo alternative, se non piantare la tenda in un punto sabbioso del torrente, sperando, non ci siano maiali intorno, e se ci sono, che non siano curiosi come quelli di ieri notte. Tiriamo fuori quello che ci hanno regalato i Ferrara a Novara di Sicilia: ci sembra di non mangiare da giorni. Quando infine stramazziamo sui materassini, sprofondiamo in un sonno profondo, respirando a pieni polmoni l’aria purissima di questa valle, verdeggiante nonostante mesi di siccità, cullati dallo scorrere dell’acqua nel silenzio della notte.

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A Novara di Sicilia e poi fino al Torrente Paratore

GIORNO 3 | 06/06/2017 – Il Giro della Sicilia in Ottanta Giorni

Abbarbicata sul versante settentrionale dei Monti Peloritani, Novara di Sicilia è innanzitutto un borgo di gente straordinariamente ospitale. Qui si produce un antichissimo formaggio, il maiorchino, protagonista dell’annuale gara di ‘ruzzola’, e la famiglia Affannato custodisce l’ultimo mulino ad acqua a ruota orizzontale funzionante in questa parte della Sicilia. Alla sera, percorrendo il crinale dei Peloritani verso Montalbano Elicona, ci perdiamo in una valle e siamo costretti a passare la notte nei pressi di un torrente.

TESTO DI TOMMASO RAGONESE

FOTO DI MARCO CRUPI

Ma cosa diamine…?!”, penso sussultando nel sonno, mentre il grugno di un maiale selvatico, che cerca un varco attraverso le pareti della nostra tenda, mi sfiora la guancia. Quello che ho detto sarà meglio non ripeterlo: l’avrò ripetuto almeno una dozzina di volte ad intervalli regolari nell’arco di un’intera notte, in corrispondenza delle incursioni di questo suino curioso.

Ad ogni intervallo forzato tra sonno e veglia, il terreno su cui abbiamo fatto campo ci sembra più scomodo e le condizioni con cui abbiamo deciso di condividere questo stretto spazio chiuso sempre meno piacevoli all’olfatto. Il budget a nostra disposizione non ci ha infatti consentito il lusso di un alloggio per la notte e di una doccia dopo la giornata di ieri.

Tre ravioli alla ricotta su un vassoio di carta, con una strada acciottolata e edifici storici di Novara di Sicilia sullo sfondo.

Circa un’ora dopo, smontata la tenda e tornati in paese, sotto un cielo coperto e qualche schizzo di pioggia, le sorti della nostra giornata vengono risollevate dall’arrivo di Filippo. “Oggi siamo chiusi, ma ho voluto comunque portarvi la colazione” ci dice, porgendoci un vassoio di ravioli alla ricotta, “Non dev’essere stata una notte facile lassù”. Con lo stomaco pieno dei dolcetti di Filippo ed il cuore pieno di riconoscenza, ci dirigiamo al caseificio di Carmelo Ferrara, padre della moglie di Filippo, Caterina.

È cosa nota che nei piccoli paesi siciliani si venga identificati più da un soprannome, la cosiddetta “nciuria”, che dal proprio nome di battesimo: faremmo bene, se ci fosse qualche novarese tra i nostri lettori, a precisare che il caseificio è quello d‘u Murgaellu. ‘U Murgaellu, per ‘nciuria, o ‘u fundachellotu, per provenienza: Carmelo Ferrara è nato infatti nel vicino territorio di Fondachelli Fantina. Due borghi, Novara e Fondachelli, che si annoverano tra la dozzina di piccoli paesi siciliani dove si parla ancora una lingua gallo-italica di origine lombarda, 900 anni dopo la dominazione normanna.

Carmelo Ferrara e suo figlio Salvatore

Da subito, la parlata di Carmelo tradisce delle pause, dei raddoppiamenti di consonanti, degli strascichi che poco hanno a che vedere con il dialetto di altri paesi, anche vicini. Alla peculiarità del personaggio si aggiunge l’unicità del luogo: si tratta di uno degli ultimi caseifici dove si produce il maiorchino nella maniera tradizionale. Un metodo tramandato a Carmelo da Don Peppino, come ci racconta lui stesso, in un’epoca in cui già il formaggio non si produceva più.

Un formaggio non soltanto inimitabile nel sapore, ma protagonista di una gara di ruzzola unica in tutta la Sicilia: un torneo già praticato nel ‘600, che culmina la domenica di carnevale, quando le squadre finaliste si sfidano facendo rotolare le forme di maiorchino giù per le strade di Novara, con l’ausilio unicamente di lacci di scarpa intrecciati e impeciati. Salvatore, il figlio di Carmelo, è impegnato a rimpinguare il fuoco sotto la quaddara, l’antico pentolone di rame dove si fa la cagliata.

Noi ci accingiamo a documentare il processo di produzione e a registrare una lunga intervista in cui Carmelo ci trasporta indietro nel tempo, tra i protagonisti della millenaria società rurale di cui è erede. Mentre filmiamo, ascoltiamo assorti: ci appare evidente che, attraverso le parole di Carmelo, stiamo già raccogliendo le prime tessere di un mosaico fatto di storie, identità e tradizioni, per ricostruire il quale abbiamo concepito questo nostro giro della Sicilia.

Il Maiorchino non è l’unica traccia viva di quella cultura contadina e pastorale a cui le parole di Carmelo ci riconducono: Novara di Sicilia conserva intatta una straordinaria testimonianza del suo passato rurale. Si tratta di un mulino ad acqua a ruota orizzontale, risalente presumibilmente al ‘400 e perfettamente funzionante, che la famiglia Affannato custodisce con amore: l’unico rimasto dei quattordici presenti in passato lungo il torrente San Giorgio.

Mario Affannato indica un magazzino storico a Novara di Sicilia, con una porta in legno e una data incisa nella pietra.

Il mulino Giorginaro è il quinto dei quattordici, per essere esatti”, mi dice Mario Affannato, mentre ci invita a scendere giù per un vialetto che conduce al terrazzamento, dove ha sede la vasca di raccolta dell’acqua. C’è dietro un orticello, vi intravediamo il padre di Mario intento a controllare che tutto sia in ordine; “Ha ottant’anni, ma è impossibile per un uomo di quella generazione stare senza fare nulla”. 1690: la data scolpita nella pietra sopra la porta di un locale, che fungeva presumibilmente da magazzino, ne attesta la costruzione in epoca più recente rispetto all’edificio situato sul terrazzamento inferiore, dove trovano posto le macine. Pare che il mulino fosse già attivo nel 1400.

Interno di un mulino storico a Novara di Sicilia, con strumenti agricoli tradizionali e una grande ruota in legno.

Aprendo la porta del locale dove avviene la molitura, Mario ci mostra le foto di papà, nonno e bisnonno, tutti scalpellini-mugnai.

È impossibile sopravvalutare l’importanza che il grano ha rivestito per le comunità di queste zone: basti pensare, che lo stesso nome del Maiorchino proviene molto probabilmente da una varietà di grano tenero, la maiorca appunto, uno dei frumenti più coltivati per il consumo familiare.

Tramoggia di un mulino a Novara di Sicilia, decorata con immagini di santi portate dai visitatori.
Chicchi di grano maiorca nella tramoggia di un mulino a Novara di Sicilia, pronto per la molitura.

Mario ci illustra le parti meccaniche che azionano l’asse della macina e quelle che permettono la regolazione della granulometria della farina. Poi, mi invita a prendere un sacco di grano: si tratta proprio di maiorca, che i contadini sono tornati a piantare negli ultimi anni, riportando alla ribalta i cosiddetti grani antichi. Svuoto il sacco nella tramoggia, tappezzata di immagini dei santi portate da chi veniva qui con il proprio grano, al fine di propiziare la buona riuscita della molitura.

Ruota lignea di un antico mulino ad acqua situato in una grotta a Novara di Sicilia, circondata da muschio e pietre.

Infine, apro il bocchettone dell’acqua, che precipita dalla vasca di contenimento giù per 10 metri, schizzando fuori da un ugello spesso 6 cm, azionando la ruota lignea del mulino. La battaella, un ingegnoso arnese per trasmettere le vibrazioni della macina alla bocca di uscita della tramoggia, favorendo la fuoriuscita dei chicchi di grano, saltella allegra. La farina fuoriesce di un bel colore scuro, ad una temperatura bassissima, visto il basso numero di rivoluzioni della macina. È un museo funzionante, questo mulino.

Ancora increduli per ciò che ci ha riservato finora questa giornata, ci congediamo da Mario con la promessa di tornare a trovarlo non appena ci sarà possibile.

Risaliamo al caseificio Ferrara, dove ci aspettano per pranzare. Una forma di ricotta calda troneggia sulla tavola, accanto a pane, olive e salame casereccio: il nostro viaggio nella macchina del tempo attraverso la civiltà contadina peloritana non è ancora terminato.

Cerchiamo di carpire quante più informazioni possibili riguardo al percorso che intendiamo seguire, per raggiungere Montalbano attraverso le montagne: non è una strada segnata sulle cartine, saremo costretti a procedere un po’ alla cieca, usando le immagini da satellite come unico riferimento. Alla partenza, con una generosità tutta novarese che difficilmente dimenticheremo, i Ferrara ci regalano ricotta infornata, pane e salame, che più tardi si riveleranno quanto mai provvidenziali.

Vista panoramica del borgo di Novara di Sicilia, con le sue case in pietra e una chiesa centrale circondata da colline.

Vista panoramica del borgo di Novara di Sicilia.

Vista delle Isole Eolie all'orizzonte dai Monti Peloritani, con colline ondulate in primo piano.

Vista delle Isole Eolie all’orizzonte dai Monti Peloritani.

All’uscita da Novara il morale è alto, anche con 12 km di salita davanti e la pioggerella che ci accompagna fino a Portella Mandrazzi (1.125 m). Scollinando, identifichiamo la strada per il parco eolico, così ripida da costringerci a scendere dalle bici e a proseguire a spinta. Giunti in cima, veniamo ricompensati da un panorama mozzafiato: il mar Tirreno a destra, lo Ionio sulla sinistra e turbine eoliche a perdita d’occhio lungo il crinale dei monti Peloritani. Mentre contempliamo questi moderni mulini a vento, mi sento trasportato nel Don Chisciotte di Cervantes.

La fortuna va guidando le cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie; perciocchè questa è guerra onorata, ed è un servire Iddio il togliere dalla faccia della terra sì trista semente”.

Dove sono i giganti?” disse Sancio Panza.

Quelli che vedi laggiù”, rispose il padrone “con quelle braccia sì lunghe, che taluno d’essi le ha come di due leghe“.

Guardi bene la signoria vostra”, soggiunse Sancio, “che quelli che colà si discuoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino”.

Ben si conosce”, disse don Chisciotte, “che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disuguale tenzone”. Detto questo, diede de’ sproni a Ronzinante, senza badare al suo scudiere, il quale continuava ad avvertirlo ch’erano fuor d’ogni dubbio mulini da vento e non giganti quelli che andava ad assaltare.

Ciclista che percorre una strada sterrata tra i Monti Peloritani, circondato da colline verdi e pale eoliche.
Biciclette parcheggiate vicino a un recinto con pale eoliche sullo sfondo dei Monti Peloritani.

Ci lanciamo giù per la strada sterrata, ed è una soddisfazione immensa, quella di essere arrivati fin quassù solo con le nostre gambe. Durante una sosta per controllare mappe e navigatore, prendo una decisione di cui a breve mi pentirò, ovvero quella di seguire il navigatore giù per una trazzera sterrata, che pare, dalle immagini del satellite, incrociare la SS115 Tripiciana. Dopo vari chilometri di discesa e vari passaggi attraverso cancelli, costruiti dai pastori con pezzi di legno, filo spinato, vecchie reti di materassi e chi più ne ha più ne metta, siamo sempre più nervosi, perché la strada peggiora, si restringe, la luce comincia a scarseggiare.

Dopo un’ultima curva, la strada incrocia il letto di un torrente: impossibile proseguire. Il greto è completamente dissestato, probabilmente per la piena invernale, e non v’è traccia di strada percorribile dall’altro lato del torrente. Il telefono non riceve alcun segnale. Riusciamo appena a comunicare le nostre coordinate e, che faremo campo qui stanotte, a chi ci attendeva stasera a Montalbano.

Tenda da campeggio montata in un letto di torrente sui Monti Peloritani, circondata da vegetazione selvaggia.
Due ciclisti accanto alla tenda montata in un letto di torrente sui Monti Peloritani, con biciclette parcheggiate sullo sfondo.

Siamo stanchi morti e, nostro malgrado, non abbiamo alternative, se non piantare la tenda in un punto sabbioso del torrente, sperando, non ci siano maiali intorno, e se ci sono, che non siano curiosi come quelli di ieri notte. Tiriamo fuori quello che ci hanno regalato i Ferrara a Novara di Sicilia: ci sembra di non mangiare da giorni. Quando infine stramazziamo sui materassini, sprofondiamo in un sonno profondo, respirando a pieni polmoni l’aria purissima di questa valle, verdeggiante nonostante mesi di siccità, cullati dallo scorrere dell’acqua nel silenzio della notte.

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A Novara di Sicilia e poi fino al Torrente Paratore

GIORNO 3 | 06/06/2017 – Il Giro della Sicilia in Ottanta Giorni

Abbarbicata sul versante settentrionale dei Monti Peloritani, Novara di Sicilia è innanzitutto un borgo di gente straordinariamente ospitale. Qui si produce un antichissimo formaggio, il maiorchino, protagonista dell’annuale gara di ‘ruzzola’, e la famiglia Affannato custodisce l’ultimo mulino ad acqua a ruota orizzontale funzionante in questa parte della Sicilia. Alla sera, percorrendo il crinale dei Peloritani verso Montalbano Elicona, ci perdiamo in una valle e siamo costretti a passare la notte nei pressi di un torrente.

TESTO DI TOMMASO RAGONESE

FOTO DI MARCO CRUPI

Ma cosa diamine…?!”, penso sussultando nel sonno, mentre il grugno di un maiale selvatico, che cerca un varco attraverso le pareti della nostra tenda, mi sfiora la guancia. Quello che ho detto sarà meglio non ripeterlo: l’avrò ripetuto almeno una dozzina di volte ad intervalli regolari nell’arco di un’intera notte, in corrispondenza delle incursioni di questo suino curioso.

Ad ogni intervallo forzato tra sonno e veglia, il terreno su cui abbiamo fatto campo ci sembra più scomodo e le condizioni con cui abbiamo deciso di condividere questo stretto spazio chiuso sempre meno piacevoli all’olfatto. Il budget a nostra disposizione non ci ha infatti consentito il lusso di un alloggio per la notte e di una doccia dopo la giornata di ieri.

Tre ravioli alla ricotta su un vassoio di carta, con una strada acciottolata e edifici storici di Novara di Sicilia sullo sfondo.

Circa un’ora dopo, smontata la tenda e tornati in paese, sotto un cielo coperto e qualche schizzo di pioggia, le sorti della nostra giornata vengono risollevate dall’arrivo di Filippo. “Oggi siamo chiusi, ma ho voluto comunque portarvi la colazione” ci dice, porgendoci un vassoio di ravioli alla ricotta, “Non dev’essere stata una notte facile lassù”. Con lo stomaco pieno dei dolcetti di Filippo ed il cuore pieno di riconoscenza, ci dirigiamo al caseificio di Carmelo Ferrara, padre della moglie di Filippo, Caterina.

È cosa nota che nei piccoli paesi siciliani si venga identificati più da un soprannome, la cosiddetta “nciuria”, che dal proprio nome di battesimo: faremmo bene, se ci fosse qualche novarese tra i nostri lettori, a precisare che il caseificio è quello d‘u Murgaellu. ‘U Murgaellu, per ‘nciuria, o ‘u fundachellotu, per provenienza: Carmelo Ferrara è nato infatti nel vicino territorio di Fondachelli Fantina. Due borghi, Novara e Fondachelli, che si annoverano tra la dozzina di piccoli paesi siciliani dove si parla ancora una lingua gallo-italica di origine lombarda, 900 anni dopo la dominazione normanna.

Carmelo Ferrara e suo figlio Salvatore

Da subito, la parlata di Carmelo tradisce delle pause, dei raddoppiamenti di consonanti, degli strascichi che poco hanno a che vedere con il dialetto di altri paesi, anche vicini. Alla peculiarità del personaggio si aggiunge l’unicità del luogo: si tratta di uno degli ultimi caseifici dove si produce il maiorchino nella maniera tradizionale. Un metodo tramandato a Carmelo da Don Peppino, come ci racconta lui stesso, in un’epoca in cui già il formaggio non si produceva più.

Un formaggio non soltanto inimitabile nel sapore, ma protagonista di una gara di ruzzola unica in tutta la Sicilia: un torneo già praticato nel ‘600, che culmina la domenica di carnevale, quando le squadre finaliste si sfidano facendo rotolare le forme di maiorchino giù per le strade di Novara, con l’ausilio unicamente di lacci di scarpa intrecciati e impeciati. Salvatore, il figlio di Carmelo, è impegnato a rimpinguare il fuoco sotto la quaddara, l’antico pentolone di rame dove si fa la cagliata.

Noi ci accingiamo a documentare il processo di produzione e a registrare una lunga intervista in cui Carmelo ci trasporta indietro nel tempo, tra i protagonisti della millenaria società rurale di cui è erede. Mentre filmiamo, ascoltiamo assorti: ci appare evidente che, attraverso le parole di Carmelo, stiamo già raccogliendo le prime tessere di un mosaico fatto di storie, identità e tradizioni, per ricostruire il quale abbiamo concepito questo nostro giro della Sicilia.

Il Maiorchino non è l’unica traccia viva di quella cultura contadina e pastorale a cui le parole di Carmelo ci riconducono: Novara di Sicilia conserva intatta una straordinaria testimonianza del suo passato rurale. Si tratta di un mulino ad acqua a ruota orizzontale, risalente presumibilmente al ‘400 e perfettamente funzionante, che la famiglia Affannato custodisce con amore: l’unico rimasto dei quattordici presenti in passato lungo il torrente San Giorgio.

Mario Affannato indica un magazzino storico a Novara di Sicilia, con una porta in legno e una data incisa nella pietra.

Il mulino Giorginaro è il quinto dei quattordici, per essere esatti”, mi dice Mario Affannato, mentre ci invita a scendere giù per un vialetto che conduce al terrazzamento, dove ha sede la vasca di raccolta dell’acqua. C’è dietro un orticello, vi intravediamo il padre di Mario intento a controllare che tutto sia in ordine; “Ha ottant’anni, ma è impossibile per un uomo di quella generazione stare senza fare nulla”. 1690: la data scolpita nella pietra sopra la porta di un locale, che fungeva presumibilmente da magazzino, ne attesta la costruzione in epoca più recente rispetto all’edificio situato sul terrazzamento inferiore, dove trovano posto le macine. Pare che il mulino fosse già attivo nel 1400.

Interno di un mulino storico a Novara di Sicilia, con strumenti agricoli tradizionali e una grande ruota in legno.

Aprendo la porta del locale dove avviene la molitura, Mario ci mostra le foto di papà, nonno e bisnonno, tutti scalpellini-mugnai.

È impossibile sopravvalutare l’importanza che il grano ha rivestito per le comunità di queste zone: basti pensare, che lo stesso nome del Maiorchino proviene molto probabilmente da una varietà di grano tenero, la maiorca appunto, uno dei frumenti più coltivati per il consumo familiare.

Tramoggia di un mulino a Novara di Sicilia, decorata con immagini di santi portate dai visitatori.
Chicchi di grano maiorca nella tramoggia di un mulino a Novara di Sicilia, pronto per la molitura.

Mario ci illustra le parti meccaniche che azionano l’asse della macina e quelle che permettono la regolazione della granulometria della farina. Poi, mi invita a prendere un sacco di grano: si tratta proprio di maiorca, che i contadini sono tornati a piantare negli ultimi anni, riportando alla ribalta i cosiddetti grani antichi. Svuoto il sacco nella tramoggia, tappezzata di immagini dei santi portate da chi veniva qui con il proprio grano, al fine di propiziare la buona riuscita della molitura.

Ruota lignea di un antico mulino ad acqua situato in una grotta a Novara di Sicilia, circondata da muschio e pietre.

Infine, apro il bocchettone dell’acqua, che precipita dalla vasca di contenimento giù per 10 metri, schizzando fuori da un ugello spesso 6 cm, azionando la ruota lignea del mulino. La battaella, un ingegnoso arnese per trasmettere le vibrazioni della macina alla bocca di uscita della tramoggia, favorendo la fuoriuscita dei chicchi di grano, saltella allegra. La farina fuoriesce di un bel colore scuro, ad una temperatura bassissima, visto il basso numero di rivoluzioni della macina. È un museo funzionante, questo mulino.

Ancora increduli per ciò che ci ha riservato finora questa giornata, ci congediamo da Mario con la promessa di tornare a trovarlo non appena ci sarà possibile.

Risaliamo al caseificio Ferrara, dove ci aspettano per pranzare. Una forma di ricotta calda troneggia sulla tavola, accanto a pane, olive e salame casereccio: il nostro viaggio nella macchina del tempo attraverso la civiltà contadina peloritana non è ancora terminato.

Cerchiamo di carpire quante più informazioni possibili riguardo al percorso che intendiamo seguire, per raggiungere Montalbano attraverso le montagne: non è una strada segnata sulle cartine, saremo costretti a procedere un po’ alla cieca, usando le immagini da satellite come unico riferimento. Alla partenza, con una generosità tutta novarese che difficilmente dimenticheremo, i Ferrara ci regalano ricotta infornata, pane e salame, che più tardi si riveleranno quanto mai provvidenziali.

Vista panoramica del borgo di Novara di Sicilia, con le sue case in pietra e una chiesa centrale circondata da colline.

Vista panoramica del borgo di Novara di Sicilia.

Vista delle Isole Eolie all'orizzonte dai Monti Peloritani, con colline ondulate in primo piano.

Vista delle Isole Eolie all’orizzonte dai Monti Peloritani.

All’uscita da Novara il morale è alto, anche con 12 km di salita davanti e la pioggerella che ci accompagna fino a Portella Mandrazzi (1.125 m). Scollinando, identifichiamo la strada per il parco eolico, così ripida da costringerci a scendere dalle bici e a proseguire a spinta. Giunti in cima, veniamo ricompensati da un panorama mozzafiato: il mar Tirreno a destra, lo Ionio sulla sinistra e turbine eoliche a perdita d’occhio lungo il crinale dei monti Peloritani. Mentre contempliamo questi moderni mulini a vento, mi sento trasportato nel Don Chisciotte di Cervantes.

La fortuna va guidando le cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi là, amico Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie; perciocchè questa è guerra onorata, ed è un servire Iddio il togliere dalla faccia della terra sì trista semente”.

Dove sono i giganti?” disse Sancio Panza.

Quelli che vedi laggiù”, rispose il padrone “con quelle braccia sì lunghe, che taluno d’essi le ha come di due leghe“.

Guardi bene la signoria vostra”, soggiunse Sancio, “che quelli che colà si discuoprono non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno girare la macina del mulino”.

Ben si conosce”, disse don Chisciotte, “che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con essi in fiera e disuguale tenzone”. Detto questo, diede de’ sproni a Ronzinante, senza badare al suo scudiere, il quale continuava ad avvertirlo ch’erano fuor d’ogni dubbio mulini da vento e non giganti quelli che andava ad assaltare.

Ciclista che percorre una strada sterrata tra i Monti Peloritani, circondato da colline verdi e pale eoliche.
Biciclette parcheggiate vicino a un recinto con pale eoliche sullo sfondo dei Monti Peloritani.

Ci lanciamo giù per la strada sterrata, ed è una soddisfazione immensa, quella di essere arrivati fin quassù solo con le nostre gambe. Durante una sosta per controllare mappe e navigatore, prendo una decisione di cui a breve mi pentirò, ovvero quella di seguire il navigatore giù per una trazzera sterrata, che pare, dalle immagini del satellite, incrociare la SS115 Tripiciana. Dopo vari chilometri di discesa e vari passaggi attraverso cancelli, costruiti dai pastori con pezzi di legno, filo spinato, vecchie reti di materassi e chi più ne ha più ne metta, siamo sempre più nervosi, perché la strada peggiora, si restringe, la luce comincia a scarseggiare.

Dopo un’ultima curva, la strada incrocia il letto di un torrente: impossibile proseguire. Il greto è completamente dissestato, probabilmente per la piena invernale, e non v’è traccia di strada percorribile dall’altro lato del torrente. Il telefono non riceve alcun segnale. Riusciamo appena a comunicare le nostre coordinate e, che faremo campo qui stanotte, a chi ci attendeva stasera a Montalbano.

Tenda da campeggio montata in un letto di torrente sui Monti Peloritani, circondata da vegetazione selvaggia.
Due ciclisti accanto alla tenda montata in un letto di torrente sui Monti Peloritani, con biciclette parcheggiate sullo sfondo.

Siamo stanchi morti e, nostro malgrado, non abbiamo alternative, se non piantare la tenda in un punto sabbioso del torrente, sperando, non ci siano maiali intorno, e se ci sono, che non siano curiosi come quelli di ieri notte. Tiriamo fuori quello che ci hanno regalato i Ferrara a Novara di Sicilia: ci sembra di non mangiare da giorni. Quando infine stramazziamo sui materassini, sprofondiamo in un sonno profondo, respirando a pieni polmoni l’aria purissima di questa valle, verdeggiante nonostante mesi di siccità, cullati dallo scorrere dell’acqua nel silenzio della notte.

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